Sterilità psicogena

 

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Quali sono le cause della sterilità?

 

Premettiamo che si parla di infertilità quando una coppia cerca un figlio da circa 2 anni senza riuscirci, si parla di sterilità quando una coppia non può avere un figlio senza intervento medico.

Si stima che la percentuale delle coppie sterili sia di circa il 10%, variando soprattutto a seconda dell’età (si passa dal un 6% a 20 anni fino ad un 20% a 40 anni). Circa il 12% delle donne si rivolge allo specialista per problemi di infertilità.

Nel 90% dei casi si scopre una causa di natura organica. Nell’uomo si tratta di difetti della produzione, emissione o funzionalità degli spermatozoi; nella donna di alterazioni ormonali, affezioni alle tube o malformazioni uterine. Nel 10% dei casi la causa resta misteriosa, perché non si rilevano alterazioni fisiche che possano spiegarla. All’interno di questi casi è da ricercare anche una causa psicologica.

 

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Cosa significa sterilità psicogena?

 

Significa che la sterilità non è legata a difetti fisici, ma è influenzata da situazioni psichiche. Bisogna ricordare che per l’uomo concepire un figlio non è un fatto di puro istinto, come negli animali, ma un fatto complesso legato al desiderio, all’amore, alle pressioni sociali, al significato dato alla coppia e alla vita, alle aspettative future e ai vissuti rispetto al ruolo di madre e di padre.

 

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I fattori psichici influiscono sia nell’uomo che nella donna?

 

E’ probabile di sì. Ma i dati sono incerti. Nel maschio ci sono pochissime ricerche. Non si sa come la produzione del liquido seminale sia influenzata da fattori psichici. A tutt'oggi l'unico dato su cui i ricercatori sembrano concordare riguarda lo stress cronico. Soggetti sottoposti a condizioni altamente stressanti straordinarie (guerra, internamento) o quotidiane croniche , presentano una variazioni in difetto del loro sperma, che dura finchè esiste lo stress. Per quanto riguarda la personalità maschile alcuni studi hanno messo in evidenza che le personalità attive ed estroverse hanno i maggiori problemi, rispetto alle personalità passive ed introverse, che stranamente presentano meno sterilità.

Nella donna ci sono invece molte ricerche. Concordo su quelle che affermano che la sterilità è legata a paure inconsce, a sensi di colpa, o ad ansia eccessiva (molte volte la donna resta incinta dopo un’adozione perché probabilmente riduce la tensione interna).

Una ricerca interessante è dell’ analista Deutsch, che ha individuato cinque tipi di donna con difficoltà alla gravidanza. L’infantile: appare come una bambina, sempre bisognosa di appoggiarsi a qualcuno; se riesce a concepire un figlio, comunque non riesce a eliminare i suoi conflitti che si ripercuoteranno sulla funzione materna.

La materna: è la mamma per eccellenza, di solito ha un partner-bambino, che cura come un figlio, quindi rifiuta la maternità per amore del marito che non è pronto per svolgere la funzione genitoriale.

L’indaffarata: è colei che dedica la sua vita ad altri interessi, come la carriera, un altro affetto o è appagata da relazioni sessuali intense. Non è contraria alla maternità, ma diventa sterile per evitare il conflitto che si verrebbe a creare.

La virile-aggressiva: rimane sterile perché rifiuta la sua femminilità. L’emotiva inadeguata: non riesce a concepire perché è cosciente della povertà della sua vita affettiva.

 

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Cosa regola la fertilità?

 

L’apparato riproduttivo è regolato da un insieme di centri e di ghiandole che formano l’asse ipotalamo ipofisario. Gli impulsi nervosi agiscono attraverso dei messaggeri chimici, chiamati FSH ed LH (ormone follicolo stimolante e luteinizzante) che danno indicazioni alle gonadi per formare il liquido spermatico nel maschio e far maturare i follicoli nella femmina.

I centri nervosi si trovano nel cervello profondo viscerale (talamo, ipotalamo e ipofisi) anche sede di raccolta e gestione delle emozioni. E’ facile che situazioni particolarmente emotive possano disturbare il regolare flusso di informazioni alle ghiandole riproduttive (ovaie nella donna, testicoli nel maschio). I centri sono anche in stretta relazione con le aree del pensiero. Ecco perché la predisposizione mentale ne influenza il funzionamento.

 

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Quali sono le cause di sterilità psicogena?

 

Dalla mia esperienza posso affermare che la sterilità psicogena si situa in due aree:

  • Il disturbo alimentare: anoressie, bulimie e disturbi alimentari minori dopo qualche mese riducono la fertilità incidendo sulla ovulazione.
  • La conflittualità: conflitti psicologici in parte inconsci inceppano la regolarità del ciclo riproduttivo.

 

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In che modo il disturbo alimentare produce sterilità?

 

Il nesso fra disturbo della alimentazione e fertilità è complesso e non ancora accertato. Si possono avanzare alcune ipotesi, che possiamo così brevemente riassumere.

 

  • Carenza alimentare. Alcune teorie dicono che si tratta di mancanza di sostanze nutritive. Molti affermano che la vitamina B6 e la vitamina C, fra le vitamine, ed il selenio, lo zinco ed il cromo, fra i microelementi, presentano un’azione positiva sulla funzionalità dell’apparato genitale maschile e femminile. Altri sottolineano soprattutto la carenza di proteine, che comporta una possibile riduzione di alcuni ormoni. L’amenorrea si verifica infatti in seguito ad una anomala secrezione di ormoni ipotalamici, che a loro volta determinano una riduzione di ormoni nell’ipofisi (LH, FSH) ed una bassa produzione di estrogeni da parte dell’ovaio. La ridotta secrezione di queste sostanze influenza l’utero e le ovaie, che si riducono di dimensioni quasi a ritornare ad uno stato prepuberale. Alcuni recenti studi evidenziano il ruolo del tessuto adiposo come intermediario tra la dieta e la regolazione ormonale: sostanze secrete dal tessuto adiposo possano regolare la secrezione di progesterone ed estradiolo da parte delle ovaie.
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  • Segnali di carestia. Il corpo reagirebbe alle ristrettezze alimentari come fa durante la carestia. In tutti i periodi di epidemie e di siccità la fertilità diminuisce sia negli animali che nell’uomo, per la correlazione diretta fra mancanza di cibo e malfunzionamento organico, ma anche per una salvaguardia indiretta, in quanto il cervello ridurrebbe preventivamente tutti gli sforzi, fra cui quello procreativo, in attesa di tempi migliori. Lo evidenziano molti reportage dai paesi africani e asiatici dove la ripresa demografica avviene in concomitanza con condizioni ambientali e di risorse agricole più favorevoli. Il corpo riduce lo sperpero di energie, legate alla gravidanza, per poter meglio sopravvivere. Nel caso di disturbi alimentari il cervello, allertato dall’abbassamento di alcune sostanze (glucosio, vitamine, proteine ecc) si preparerebbe alla sopravvivenza minimale, influenzando gli ormoni che si occupano di omeostasi e di riproduzione: ciò determinerebbe una riduzione del metabolismo e della fertilità nell’individuo. Le ipotesi 1) e 2) si adattano maggiormente alle situazioni con comportamento anoressico, meno nella bulimia, dove assistiamo ad una pari diminuzione della fertilità.
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  • Restare bambina. Ritengo che siano importanti le teorie psicodinamiche. La prima è che esiste nella donna infertile una difficoltà a “crescere”; tale difficoltà si manifesta sia nella sfera alimentare, per cui mangiare poco è come fermare il tempo, sia nella sfera sociale in cui il non crescere corrisponde alla negazione del ruolo di madre. Molti studi sulla anoressia mettono in luce il difficile passaggio dall’infanzia all’età adulta per la donna con disturbo alimentare. Le teorie sociali di tipo femminista rapportano tale difficoltà alle ambigue richieste della società verso le donne, che devono essere mansuete e sottomesse in quanto femmine ma forti e determinate come maschi; la donna, nell’incertezza di ruoli opposti, si svuota del suo essere femminile e ridiventa bambina, perché nell’infanzia le aspettative altrui meglio si coniugano alla proprie attitudini. Le teorie sistemiche sottolineano il contrasto con la madre, per cui la figlia attraverso l’anoressia si vieterebbe di crescere e di diventare madre simile alla propria madre. Le teorie psicodinamiche, come la teoria transazionale, ritiene che il disturbo poggi su decisioni inconsce maturate nell’infanzia e nella giovinezza, come risposta a messaggi genitoriali costrittivi. La donna resta in forte conflitto fra le istanze opposte di dipendenza e autonomia, rappresentate dal corpo e dalla mente, ed inconsciamente vorrebbe fermare il tempo, ritornando nell’infanzia per nutrirsi di tutto ciò che le è mancato: “Se cresco perdo per sempre ciò che da piccola non ho avuto”. La persona con ossessione alimentare si attacca al passato per soddisfare antichi bisogni scoperti, che si vieta di soddisfare ora, e così facendo alimenta angosce inutili, che la bloccano verso il futuro. Tale blocco riguarda anche la funzione riproduttiva, che rappresenta la spontaneità della natura e la straordinaria tensione creativa verso la vita. Il disturbo alimentare è un rifiuto a restare dentro la successione continua dei ritmi. Il corpo irrigidito su posizioni estreme non può aprirsi e fluire. Il tempo interiore tira indietro anche le funzioni biologiche, che si inceppano.
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  • I centri nervosi adiacenti. Un’altra teoria potrebbe essere di tipo neurofisiologico e vedere la stretta correlazione fra il centro della fame/sazietà, deputato alla sopravvivenza dell’individuo, con il centro della fertilità/infertilità deputato alla sopravvivenza della specie. Entrambi sono situati nell’ipotalamo, complessa struttura nervosa alla base del cervello, che serve a regolare le emozioni, il metabolismo e la produzione ormonale. Il centro della fame-sazietà (zona laterale e ventromediale dell’ipotalamo) risente delle variazioni di sostanze nutritive circolanti nel sangue ed in base a queste fa sentire fame o sazietà. Il centro della fertilità (regione anteriore preottica) risente di molteplici equilibri fisici, di natura viscerale e psicosomatica, e determina una attivazione della ipofisi, da cui derivano le variazioni di estrogeni e di progesterone del ciclo ovarico. Questi centri hanno in comune la finalità, che è appunto di garantire la sopravvivenza, sia dell’individuo con l’alimentazione, che della specie con la riproduzione. E’ facile immaginare che le due cose vadano insieme e che la prima sia il presupposto della seconda. Come può sopravvivere la specie se non riesce a sopravvivere l’individuo? Come può l’individuo mettere energia a figliare se non ha energia sufficiente per se stesso? La natura saggiamente ci pensa e produce aggiustamenti utili dal suo punto di vista, anche se daranno conseguenze spiacevoli, come il calo della fertilità. Ecco allora che una sana alimentazione, varia ed equilibrata, vissuta con spontaneità e naturalezza, può facilitare la predisposizione a cicli produttivi regolari.
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  • L’organo psicosomatico. A partire dalla adolescenza tutto il corpo è impegnato a evolversi per essere in grado di vivere una sessualità adulta. Le maggiori trasformazioni sono regolate da un sistema, che fa capo all’ipotalamo e alla ipofisi, formazioni nervose alla base del cervello, da cui partono gli ordini per i cicli riproduttivi. Questa zona viene chiamata: asse ipotalamo ipofisario, ed è investita di molta energia in questa età. E’ probabile che qualunque problema psichico concomitante vada a scaricarsi proprio su questo settore, scegliendolo come organo psicosomatico, in quanto rappresenta la parte fisica più sensibile al momento. Le interferenze sull’asse ipotalamo ipofisario vanno a colpire le funzioni ad esso correlate: la fertilità e la regolazione di fame/sazietà. Ecco perché i disturbi alimentari sono più frequenti a partire dalla adolescenza. Senza contare che a sua volta il disturbo alimentare può aggravare lo squilibrio dell’asse ipotalamo ipofisario attraverso il meccanismo dello stress, che in molti casi modifica la secrezione ormonale. Il disturbo alimentare costituisce di per sé una situazione stressante: l’individuo si priva di un piacere naturale, lo sostituisce con una ossessione impegnativa, mette a rischio l’equilibrio metabolico, maltratta il proprio fisico. Tale disturbo è come una punizione, che impedisce al desiderio di placarsi. Nel disturbo a valenza restrittiva alimentare il desiderio di cibo viene continuamente negato; nel disturbo a valenza bulimica il cibo viene ingurgitato senza piacere per essere poi espulso con dolore e colpa. Dunque il disturbo alimentare è una situazione stressogena, per di più regolato da un centro vicino al centro della fertilità. Non deve stupire che la prima funzione corporea a risentirne negativamente sia la funzione riproduttiva.
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  • La persona entra in guerra. Riassumendo possiamo affermare che una ipotesi comprensiva del rapporto fra ossessione del cibo e infertilità vada a ricercarsi nella perdita di quiete. Ogni organismo necessita di tranquillità perché i suoi orologi biologici girino regolarmente. Parliamo dei vari ritmi che accompagnano la vita: sonno/veglia, fame/sazietà, periodo fertile/periodo infertile, allerta/riposo. Questi ritmi sono fragili e possono subire le interferenze di emozioni troppo intense o di situazioni conflittuali, quando due istanze interne alla persona entrano in disaccordo. Nel disturbo alimentare esiste sempre una guerra, partita dalla mente e manifestata nel corpo, originata dalla ricerca faticosa di mettere insieme bisogni contrastanti che la persona non è stata educata ad accogliere: il bisogno di accudimento ed il bisogno di indipendenza (ovvero il poter essere bambino e il poter crescere a modo proprio). Uno sembra opposto all’altro nella ricerca di reciproca sopraffazione. Il cibo, veicolo di carezze nell’infanzia e segno di affermazione dei propri gusti autonomi, diventa il campo di battaglia. Ma durante la battaglia non si ha la pace necessaria perché l’organismo si dedichi ad un’altra impresa: la gravidanza. Dice una ragazza affetta da disturbo alimentare: “Io ho dentro una parte che ha bisogno e che considero brutta. Poi ho una parte aggressiva che colpisce quella brutta che ha bisogno. La parte aggressiva è quella che non mangia, per distruggere la parte brutta. Invece la parte brutta che ha bisogno viene fuori con la bulimia, si prende una rivincita specie di notte, quando l’altra parte è un po’ addormentata. Non riesco a metterle insieme, neanche a separarle. Potrei dire che sono sempre in stato di guerra. E la guerra porta a stanchezza e a carestia. Per questo non mestruo. Sono troppo in tensione. Da sola non ce la faccio, le due parti non si parlano, si combattono. Qualcuno mi deve dire che la guerra è finita!

 

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In che modo il conflitto produce sterilità?

 

Il conflitto riguarda l’essere madre, ed è del tipo:
VOGLIO UN FIGLIO NON VOGLIO UN FIGLIO

Di questo conflitto la prima componente, volere un figlio, è consapevole e molto sentita. L’altra, non volere un figlio, per oscuri timori, non è consapevole, la donna la nega. Tale timore negato, non essendo accolto dalla ragione, prende la via somatica, come avviene per tutti i disturbi psicosomatici.I principali timori “oscuri” dell’inconscio femminile possono essere riassunti in tre:

 

1) la cattiva madre. In questo caso non è che la donna abbia avuto un cattiva madre, ma pensa di esserlo lei e teme fortemente che la nascita di un figlio determini una situazione in cui tale parte cattiva possa emergere. Dunque non vuole il figlio perché non ci sarebbe amore. E’ spesso un timore infondato, perché deriva da esperienze infantili e la parte cattiva è in realtà una parte arrabbiata per qualche torto subito nel passato.

 

2) Il trauma nel corpo. In questo caso qualche trauma antico (diretto o indiretto) fa ritenere che la gravidanza sia una malattia: si può avere il timore del corpo che cambia, o del parto. In ogni caso la parte inconscia non vuole il figlio perché potrebbe morire. Il terrore è profondo ed irrazionale.

 

3) La lesione d’identità. In questo caso, il più frequente, la donna pensa che la nascita del figlio le toglierebbe qualcosa, che non potrebbe diventare ciò a cui aspira, che la renderebbe succube degli altri. In genere sono donne che hanno patito repressioni nel passato e idealizzano la libertà. Ci sono pregiudizi legati a vissuti antichi.

 

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E’ utile la psicoterapia?

 

Prima della psicoterapia è bene considerare la consulenza psicologica. Senza esagerare nel vedere cause psichiche dove non ci sono, è bene esaminare l’atteggiamento psicologico della donna, nel caso abbia una infertilità senza causa. Alcuni colloqui potrebbero chiarire se esiste una delle due cause: disturbo alimentare o conflitto.

La comprensione emerge dalla storia della persona, dalle sue abitudini e difficoltà, ma soprattutto dai sottili timori e ambiguità, espressi timidamente. Nel caso ci sia un cattivo rapporto col cibo, bisogna ritrovare la spontaneità di alimentarsi. Nel caso ci sia un conflitto, è indispensabile farlo emergere.

Sia in un caso che nell’altro esiste l’indicazione successiva per un percorso di psicoterapia. La donna deve ritrovare il flusso naturale delle cose fuori e dentro di lei.

Negandosi il cibo blocca la crescita e inceppa ogni altro orologio biologico. Con le paure sotterranee frena i ritmi, per non esporsi a rischi immaginati. La psicoterapia può aiutarla a guardare dentro di sè con sincerità, interrogandosi sull’origine dei dubbi circa la maternità, che quasi sempre non sono legati al bambino reale futuro, ma a esperienze vissute da lei bambina.

 

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Conclusione

 

Possiamo riassumere i concetti in questi consigli:

 

  • Se cerchi un figlio resta rilassata e senti una spontaneità fiduciosa nel tuo corpo e nei tuoi ritmi.
  • Affidati alla sapienza della natura, che è saggia e lungimirante.
  • Ascolta tutte le tue emozioni e tutti i tuoi pensieri, nell’immaginarti madre.
  • Accetta i dubbi e le paure, che contengono dei bisogni, senza voler sentire una motivazione perfetta e assoluta.
  • Separa il presente dal passato, dove esperienze negative potrebbero influenzarti: circoscrivi nell’oggi il desiderio di diventare madre.
  • Predisponiti all’accoglienza con serenità: il piccolo ha bisogno di cose semplici e naturali.
  • Sentiti genitore a modo tuo, ancor prima che nasca il figlio, per darti il permesso di essere originalmente te stessa.
  • Chiedi la vicinanza del tuo compagno anche per dirimere i conflitti e condividere emozioni contrastanti.

 

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